Testo originale italiano di Giovanni Peli
tradotto in portoghese da Antonio Giacometti e Raquel Fernandes Da Silva
KINDARA
Monodramma per musica
Kindara, giovane donna brasiliana
Durvalino, padre di Kindara
La scena si svolge al cospetto del mare.
Kindara passeggia sulla spiaggia.
KINDARA- Dolce amore mio
chi porta così leggera la mia pelle di negra?
Chi annuncia col soffio di una danza
alla sabbia e agli uccelli
il mio passo spensierato?
Ignacio, da cui aspetto un bambino
ha promesso che lascerà la vita distruttiva
che finora ha intrapreso:
vorrà bene a me e si troverà un lavoro onesto.
Io gli credo, perché non dovrei?
E il mio caro padre ci benedirà.
Eppure in quell’angolo di mondo dove abito
che guarda i miei passi dall’alto
i bambini piangono,
Le donne non ce la fanno più.
Vogliono dipingere con acqua e sale
anche questo pomeriggio in cui trionfa il mio amore.
Non siete troppo grandi per piangere?
Nessuno dovrebbe piangere!
DURVALINO- E’ il padre tuo che ti parla: lascia che i bambini del mondo, qualunque età abbiano, piangano della loro vita: sono più vicini di noi al nulla da cui provengono.
Lascia che ognuno combatta la battaglia.
Come hanno fatto i tuoi padri, liberati dalla schiavitù. Queste vite possedute dal narco
vivono in un incubo e non conoscono il mare: soltanto le lacrime. Risvegliamole!
KINDARA- Padre mio, io vedo anche gente forte, che non si piega:
tu sei il primo tra questi, ed ora anch’io grido davanti alla porta della mia casa:
“Lasciateci in pace che volete da noi?
Siamo liberi anche senza il vostro permesso
di camminare e cantare del nostro amore.
Non potete capire i nostri sentimenti,
siete giovani ma già vecchi nel cuore.
Lasciateci stare!
Il narco ha le ore contate!
DURVALINO- Silenzio. Ascolta ogni voce che il mondo infido ti offre. Silenzio, figlia mia. Guarda, ora, verso la tua casa di cui parli. Vedi il nero fumo della morte. I giovani assassini del narco, schiavi di schiavi, hanno deciso per noi e per chi ci ama. Io non sono più. Resta il mio amore. Ma il destino per me ha detto la sua. La mia vita finisce nel modo più barbaro che si immagini. Sono stato ucciso. Brucio e la mia anima è già diventata fumo nero.
Kindara alza lo sguardo verso la favela da cui sale il fumo del microonda, torre di copertoni entro cui è stato bruciato vivo Durvalino.
KINDARA- Il silenzio mi uccide! Maledetti!
Mio padre non può essere morto,
mio padre è santo è puro è immortale:
Oggi stesso avrebbe avuto una notizia bellissima,
io e il mio amore gliel’avremmo data:
lui non sa della vita d’amore che porto in grembo,
non sa che sogniamo cose buone e giuste e facilmente realizzabili,
che siamo più forti del male che governa la nostra stessa vita.
DURVALINO- Continua a camminare. Oggi si compie il destino.
Kindara, disperata, si sente male. Attorno a sé la spiaggia cambia di aspetto facendosi un luogo orrido.
KINDARA- Mi sento svenire. Questo luogo che pochi minuti fa mi sembrava il paradiso che sogno, un paradiso perduto e con gioia ritrovato, ora mi sembra un luogo di orrore, mi sento catturata dal male!
Questa sabbia è vetro
Questo sole è carbone
Questo cielo è fumo di morte
Questo mare è fatto di lacrime e sangue.
I miei piedi affondano ad ogni passo
nelle viscere della terra che brucia
e poi mi vengono sputati fuori sanguinanti,
uno spettro striscia accanto a me
e si rifugia in un ombra pervicace
perché il sole non produce luce:
è troppo debole e infrange il suo voto:
è soltanto una lama accecante nel cielo.
Durvalino- Brava Kindara, vai incontro con coraggio al tuo destino. Io ho fatto così. Non ho versato lacrime. Non ho gridato per non allarmarti, certo che anche solo una parola di sofferenza sarebbe stata nitidamente percepita dal tuo giovane e grande cuore.
Kindara trova una carcassa di un grosso pesce ed un coltello lasciato da un pescatore.
KINDARA- Questo è un assolato e muto cimitero giallo.
Ecco come si esprime la natura piena di morte.
Il mare abbietto restituisce i cadaveri alla terra.
E l’uomo sciacallo ha lasciato qui lo strumento avidità.
Un mostro innocente è morto nel dolore
ed anch’io saò il mio mostro!
Padre, è questo il mio destino?
Si infligge una ferita camminando verso l’acqua
Ho sfiorato la vita, non la morte, questo dolore non è nulla
potrei perdere un braccio intero e non sentirei nulla
ma questo rosso sangue dalla mia pelle negra
che mi scatena l’inferno dentro
è fatto di energia e volontà.
L’acqua sulla mia pelle mi risveglia
credo alla sua purezza. Ignacio, amami tutta!
Padre mio aiutami!
Durvalino- Buttati nel mare figlia mia! Hai fatto ormai tutto: tieniti stretta la vita, il destino è compiuto, salva il mondo dal male e dal bene egoistico. Impara ancora una volta dal mare. Riconoscilo, laverà il tuo sangue, e sentirai la vita che sta nascendo dentro di te. Questo è il nostro vero sole! Ritorna in te. Impara ancora una volta dal mare. Come quando eri piccola e giocavamo insieme.
Kindara va nel mare e si lava la ferita.
KINDARA- Acqua e sale lavatemi il dolore, le lacrime e il sangue:
mi lavo col sangue!
Mi lavo col sangue!
Non sarà mai più schiava
sono liberata ancora, io, Kindara,
come i miei antenati negri liberati,
sono libera dal male e dal mio stesso sangue
fuoriuscito da un malvagio proposito.
Vivrò e combatterò
e con me il mio nuovo amore sempre più forte:
il mio uomo sta già raccogliendo il mio mare di lacrime,
lecca le ferite lavate col sangue,
e il mio bambino crudele si ostina a scalciare…
gemma del mare
pulsazione di stella
incommensurabile
vita.
SIPARIO