Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Il tempo e lo spazio non esistono, l’immaginazione fila e tesse nuovi disegni.
(Helena in Fanny e Alexander di Ingmar Bergman)
Queste parole che mi si sono impresse nella memoria, parole davvero fondanti di un’idea che mi ha sempre sedotto, ancora più impresse perché pronunciate da un personaggio fittizio e non reale, sono con mio nuovo grande stupore, ben accordate con il mio ultimo lavoro Specie di spazi, contenitore di sovraimpressioni e diverse interpretazioni di una sola intenzione artistica e comunicativa. Testi e musica formano cinque canzoni (per loro natura già costituite da due arti che tentano un’unione, possibile e verosimile in infiniti modi), l’arrangiamento, anch’esso pura arte, si sovrappone creando nella produzione discografica il brano finito che è già di per sé coacervo di interpretazioni (ma forse che non possa essere così per OGNI forma d’arte?). Ad ogni canzone abbiamo affiancato un video e una fotografia. Il tutto è capace di vivere singolarmente, ma insieme le parti che lo compongono formano Specie di spazi.
“Specie di spazi” sono continuamente proposte, raccontate, suggerite, sovrapposte. Spazi mentali, spazi fantasticati, spazi immaginati, spazi scambiati, spazi fraintesi, spazi vissuti, spazi dimenticati, spazi ritrovati. Nelle canzoni si parla continuamente della ricerca o dell’abbandono di un posto, un centro, un punto di vista. Luoghi e non-luoghi. La foto di copertina è stata scattata da Paolo Piccoli a Parigi, città protagonista del libro di Georges Perec dal titolo, appunto, Specie di spazi.
In Berlino si canta di una nuova vita insperata contrapposta al miraggio di un Eldorado: la tanto ammirata oggigiorno Berlino rappresentata per contrasto (perché Berlino davvero non è raggiunta) da una caldissima Maputo, la nostra non-Berlino dell’anima, simbolo di tutte le dis-uguaglianze, nel video di Mario Martinazzi. Inoltre luogo del pensiero è la canzone d’amore, qui divenuta la canzone dell’urgenza, della separazione, della differenza.
In Distanza si parla invece di altri luoghi possibili, ancora, di luoghi dello spirito (ma non solo) in cui la voce (Io-narrante) capisce che deve stare, per il suo bene, e può benissimo farlo; mentre il video di Aiman Barikhan è girato in una piazza di Breno, Valle Camonica, dall’acqua, pare, ancora pura.
In Accorgetevi, attraverso le parole di Mario Benedetti, ci affacciamo sul mare, ci avviciniamo ai malati di Codroipo, tocchiamo il nulla inesorabile, la morte-in-vita, mentre il video, girato ancora a Breno, documenta un ovunque di auto e passanti e il loro movimento.
In Sterminate immaginiamo di tornare a Parigi per soddisfare nostri sfizi, bisogni indotti, tentando, per avvalorare la nostra posizione contraria alla guerra in Siria, di immaginare l’orrore, la privazione e la paura della gente che sulla propria pelle subisce davvero la guerra e scappa. Di Parigi si parla più esplicitamente nella mia poesia scritta contro la guerra per il blog Fonti coperte de “l’Unità”, su invito di Davide Nota. Il video di Sterminate si avvicina (o si allontana) alla tematica solo per contrasto, con la sua fissità essenziale a rappresentare la crudele primavera nascente con un dettaglio di se stessa: ecco quindi i fiori di pesco, così giapponesi, soprattutto quando la musica da statica si movimenta, nell’eco evidente di atmosfere (pseudo)orientali.
In Fiori torniamo a parlare del nulla, nel senso di vuoto esistenziale che alcuni rapporti amorosi danno l’illusione di saper colmare: il non-luogo e quindi un misero ambiente famigliare, ben delineato dal video, fisso sul forno a microonde.