Ho cominciato prestissimo (10 anni) ad ascoltare musica, in un modo intellettuale e professionistico… uso ironicamente queste parole altisonanti e le uso volutamente in modo improprio perché sono spesso usate in modo improprio. Insomma: queste parole oggi secondo me designano esperti di dubbia competenza e musicisti molto osannati (o anche solo rispettati) che non hanno nessun valore artistico. Ad ogni modo (questo è un post che vuole essere divagante) intendevo dire che fin da piccolo ero già per varie ragioni appassionato di musica, già chitarrista, giù ansioso di esprimermi artisticamente. Pino Daniele accompagnava questi miei primi sogni, questi baluginii estetici infantili. Unico italiano tra pochi grandi artisti di cui consumavo musicassette preparate da mio fratello maggiore (una sorta di mago o scienziato pazzo, che faceva scoppiare bombe culturali in cameretta). Gli anni passano, i dischi ascoltati sono diventati migliaia. Pino resta nel cuore, proprio con queste ingenue parole. Pino, dopo una serie di grandi album tra ’70 e ’80 e altre notevoli cose anche nei ’90, prosegue una traballante carriera discografica che non regala più capolavori, pur restando egli uno straordinario musicista, che sempre valeva la pena sentire dal vivo. Pino è stato più artisti: ha saputo scrivere testi dialettali di grande sensibilità e forza, ha scritto canzoni intense e raffinate, prodotto album, suonato in modo originale e a tratti strepitoso la chitarra. Inoltre io, attraverso Pino, ho scoperto un modo verace sanguigno e anticonformista di usare il dialetto e di parlare di una città. Senza il napoletano-antinapoli di Pino non avrei mai scritto la mia Brèsa desquarciàda. Perché dialetto non significa affatto adeguarsi ad una tradizione, ma anzi significa amare la tradizione per criticarne le ipocrisie archeologiche pedanti e conformiste. Brescia andava cantata in dialetto, perché amo Brescia in quanto città di profondi affetti tra persone vicine e lontane, unite in una lingua ed in una mentalità, prossima ad abbruttirsi nel capitalismo, abbruttita dal consumismo. Brescia città cattolica e borghese per eccellenza andava svelata (desquarciàta), con la sua stessa lingua, rilevando ciò che davvero qui a Brescia, di noi, ci amiamo: l’onestà, la schiettezza, la capacità di sacrificarsi per gli altri. Doti umane che rintracciamo, forse, ovunque ci sia amore. Pino napoletano riservato schietto talentuoso. Pino attraverso Troisi, e poi nelle braccia del grande Eduardo. Napoli mille città dentro una città, la città più emozionante che abbia mai visto, una città incompensibile vociante viva, golosa, che solo il mare ferito può scalfire, ferire, rendere visibile, svelare.