Dieci, micropoema

Dieci, micropoema

ciò che tocco cambia consistenza alla mia pressione
le dita sono diventate magico pigro strumento
questa non è una di quelle giornate da ricordare
potrei essere sciabordato dalla lavandaia alla riva
quando il fiume scorre falsamente apatico
e quelle donne danno vita all’incongrua violenza
lavando molti anni fa pezzi di vita vissuta nei vestiti
tocco anche me stesso per ricordarmi
per dare più vita alle tempie e alle dita stesse
sono troppo vicino al mio io e questo è solo l’esordio

mi guardano soltanto animali immaginati
cupi prodotti delle piogge estive dei grigi colori estivi
quando tutto dovrebbe essere il contrario di quello che è
abbiamo tanta musica affossata dietro le orecchie
da non riuscire ad ascoltare nient’altro che pioggia
nessun latrato nessun bambino nessun cinguettio
rincuora questa povera e volgare epoca
continuamente posta in un cattivo risveglio
un’epoca svegliata male poco pulita per nulla fiduciosa
epoca di cialtroni di menti svogliate e complici

menti che non chiedono niente di meglio
menti che non credono a nulla e ridono di tutto
menti che hanno imparato a fare bene solo una cosa
menti che chiedono il parere solo agli esperti
menti che non hanno il coraggio di abbassare la guardia
salvatemi liberatemi deagorafobizzatemi
giratemi la chiave se trovate qualcosa in me
che vi ricorda uno scrigno chiuso e diseuforizzato
che vi ricorda ciò che inceppa e non lecca più niente
che vi ricorda il latte o il vino o quella volta del tentato suicidio

sono stato fortunatamente disarmato
non ci sono pornoninfe non ci sono agguati di eroinomani
non ci sono giudici non ci sono malelingue
è la resa dei conti non ci sono avventurieri spaziali
non ci sono arrivisti musicisti alcoolizzati istrioni
possiamo restare all’aria aperta possiamo impiccarci
è la resa dei conti siamo ad un passo dai nostri pochi amici
ci mordono ci provocano ci rendono completamente noi stessi
è la resa dei conti facciamo un bel focherello di armi
facciamo tutte quelle cose che sappiamo fare

ha fin troppo stancato questa tua maledetta diffidenza
l’homo viagrans l’ha detto ammiccando così tante volte
che c’erano troppi intellettuali cattivelli e sfigati in giro
sai amore non c’è niente di buono in questa diffidenza
anche a me piacciono i vampiri ma che c’entra
vogliamo rimanere nelle sabbie mobili colorate
vogliamo restare chiusi in questa gabbia io no
se mi sono costruite queste ali credendole di carne
è davvero per volare e per non rendere conto a nessuna
logica né tantomeno alla violenza alle rughe e le screpolature

arrivato al giorno d’oggi mi manca solo camminare sul filo
forse lo farò prima di morire ed è stato bello vivere
senza fare ciò che uno si aspetta vivere per contrasto
comunicativo averne piene le tasche di ogni cosa
ed essere salvato molto spesso dalla fantasia e dai sorrisi
sguscio proprio come un pesce fra ridicoli pugni in serie
pronti a chiudersi e a non acchiappare niente
acquatico cono paradisiaco lembo di nostalgia
seguimi fra le ossa e il pensiero sono fluido e verosimile
sono fatto di pietra trasformabile scaldabile approssimabile

di cosa sei fatta tu e tu ancora di cosa sei fatto
se tu fossi pura idea io ti vorrei ripensare uguale
non è possibile pensarci figuriamoci dirci
però possiamo abbassare la guardia spogliarci
renderci immuni dai centri commerciali e dalle bombe
possiamo cercare tutta la vita una sensazione
quel luogo bianco dove non si capisce davvero nulla
e non c’è nessuna illusione di maturità virilità assenso
non c’è limite seduzione desiderio cane gatto mucca
c’è tanto dolce bianco da immaginare fino a un attimo prima

il giorno dopo eravamo ancora lì e fu una vera fortuna
poter dire le stesse cose di ieri come se fosse vacanza
e non fraintendere non pensare male di mezzo mondo
solo perché una parola non era esattamente giunta a destinazione
mi sono messo a suonare a caso e sembrava un’ottima soluzione
non nasce non nasce non può non deve nascere un altro
bambino uomo donna guardiamoci negli occhi
non può non deve nascere ora nonostante la nostra vecchiezza
cosa daremo a lui ti ho ripetuto continuamente
ma perché non voglio davvero credere all’amore

vedi è l’abitudine di stare al mondo che vuole abbruttire
i piedi e le mani di cui mento origini e futuro
ma dico che dovrei parlare della tua bellezza evidente
eppure sono certo io che devo difendere strappare bruciare
e disinnamorare ho incontrato una persona disarcionata più volte
l’ultima volta però era davvero impiccato lui e penzolava
lascia un bambino handicappato una moglie bellissima
lascia un bambino sano e bello e forte e una moglie povera
troppo povera per resistere cosa faremo noi due per loro
cosa faremo se non abbiamo un euro da dare per la rosa

giunge al termine sepolta dentro i tuoi occhi la confessione
ormai verdeazzurra con la voglia di andare al mare
la disperazione si attorciglia nei ricci e tenendoti per mano
la disperazione miagola un grande sì miagola speranza
grugnisce come un vero uomo disarcionato
torna negli angoli come la polvere ma noi puliamo
ci facciamo distruggere dalla macchina che fa il pulito
restiamo in quattro o cinque o sei o anche dieci
nella stessa fortunata persona datasi fuoco quanto basta
dolorante per quello che serve dirsi vivi insieme e cantare.

© 2024 Giovanni Peli | Foto di Paolo Piccoli