Sul Nobel a Dylan: Questo articolo non s’intitola “I tempi stanno per cambiare”

Sul Nobel a Dylan: Questo articolo non s’intitola “I tempi stanno per cambiare”

Questo articolo non s’intitola “I tempi stanno per cambiare”

(pezzo apparso sul blog Zona di disagio, il 19 ottobre 2016)

Se vuol ballare signor contino

il chitarrino le suonerò.

(Da Ponte)

1- La cosiddetta in italiano “canzone d’autore” è una forma di letteratura.

2- L’opera di Bob Dylan ha un valore letterario inestimabile, cosa che non si può dire di molti scrittori e poeti contemporanei.
3- Mi spiace per Philip Roth ma lui “I and I” non l’ha scritta.

A caldo scrissi questo post, e scoppiò il pandemonio (molti non hanno capito la battuta finale).

L’argomento mi sta a cuore, quindi, su invito dell’amico Nicola Vacca (che stimo molto ma che non è d’accordo con me) vorrei spiegare perché secondo me Bob Dylan si è meritato il Premio Nobel e perché è giusta questa decisione.

Innanzitutto, dalle critiche che sono emerse, da Baricco a Conte a Scarpa a Magrelli, si evince un disinteresse totale per l’opera, mastodontica, di Bob Dylan: tutti presi dalla figura (celeberrima e ormai facilmente attaccabile) del menestrello pacifista (icona sprezzantemente rifiutata dallo stesso Dylan quasi subito). Ho letto anche autorevoli commenti anti-hippie, che mi hanno proiettato in una disputa genere tifosi da stadio.

Il valore letterario dei testi per canzone di Bob Dylan non nuoce affatto alla poesia, a quella nuda parola che si dice non abbia bisogno di nulla fuorché di se stessa (eppure gli scrittori oggi tendono a improvvisarsi lettori e performer per proporre il loro libro – considerandolo forse per primi “charta sporca”? – e ce la fanno anche, perché spesso propongono “spettacoli” sostenibili anche da molti teatri low budget, ovvero quasi tutti); credo infatti che il marketing attuale attorno a un libro che comprende tournée, fotografie, firma-copie, uffici stampa, social network e altro (malaugurati festival?!), conclami la sfiducia che certa editoria pone nel libro stesso, e imita questi vezzi modaioli che il mondo del rock da Elvis in poi ha creato e di cui si è nutrito. (Tutto è cambiato anche in quel mondo, e Dylan, forse, per la complessità della sua opera da un punto di vista letterario, se fosse nato dopo il 1975, non lo conosceremmo.)

Questo valore dei testi di Dylan (molti dei quali fruibili e godibilissimi anche senza musica, non so come ciò si possa negare) non nuoce nemmeno a Simić, Roth, De Lillo e altri, potentissimi scrittori americani, per altro celebri quasi quanto le star della musica e del cinema: dunque anche la critica sull’eccessiva notorietà di Dylan proprio non regge. Non nuoce se non per il fatto che quelli non avranno il Nobel, o aspetteranno ancora un po’.

Mi sembrano peraltro legittime le critiche al Premio in quanto tale, non quelle al valore letterario di Dylan: si può indicarne la politicizzazione, si può dire che dovrebbe avere anche la funzione di suggerire autori sconosciuti o al di fuori dei consueti canali commerciali (ma poi, perché, è così davvero?). Insomma, per un’analisi e una critica del Nobel, con tutta la sua tradizione, converrebbe altra sede. L’Accademia premiò oltre ovviamente a Fo, anche Bergson che non aveva scritto né poesie né romanzi. E Pirandello, Walcott, Soyinka furono soprattutto drammaturghi, ma so di essere su campo minato.

L’opera di Dylan muove dalle forme della poesia popolare (orale e cantata) blues e country, e attraverso essa, si sviluppa in un’opera monumentale di ben 37 album in studio e 14 dal vivo, descrivendo poeticamente il  nostro tempo. Dunque il bagaglio culturale di Dylan si amplifica, il menestrello affabulatore è un metabolizzatore di linguaggio. In lui convogliano oltre ai blues e alla poesia popolare, orale, Ginsberg e i poeti della beat generation, Shakespeare, Eliot, Pound, Keats, Williams, Rimbaud, la Bibbia, i Vangeli, il Talmud… con un utilizzo più o meno dichiarato delle tecniche del pastiche, del postmoderno, tra critica sociale, etica e religione (non certo arrestatasi agli anni Sessanta -vedasi almeno Oh Mercy e Political World).

Inoltre non dimenticherei la continua formazione del testo in Dylan, le innumerevoli versioni dei testi, cambiati e reinventati dal vivo, improvvisando o no. Nella letteratura orale non ci sono testi, ma la narrazione passa, mutando in dettagli importanti, di bocca in bocca. Dylan registra, quindi fissa un testo che potrebbe essere riproducibile, riascoltabile; dal vivo contravviene però a se stesso (si pensi anche all’esempio di Dylan Thomas), come contravviene alla sintassi e alla narrazione, franta nei tempi verbali e nella disposizione dei punti di vista: ciò appartiene alla logica e alla natura della forma canzone, dal blues al country al pop-rock, quando il beat ti impone di continuare con il suo ritmo e tu devi raccontare, cantare, annientare e ricostruire. Una sorta di disperato rapsodo di se stesso, condizione quanto mai novecentesca, che è stata mirabilmente raccontata in quattro parole “Io non sono qui” (guardate l’ottimo film). Bob Dylan è una forza nel passato, amplificato e mangiato dallo star system, e canta con ostinazione se stesso e il suo presente.

(Suggerisco subito anche http://www.maggiesfarm.eu/Inverso_Dylan_Spagna.pdf) ma i pregevoli in articoli serissimi su Dylan per fortuna non sono pochi.

Trascrivo ora uno dei miei testi preferiti di Bob Dylan.

Shadows are fallin’ and I’ve been here all day
It’s too hot to sleep and time is runnin’ away
Feel like my soul has turned into steel
I’ve still got the scars that the sun didn’t heal
There’s not even room enough to be anywhere
It’s not dark yet but it’s gettin’ there.
Well, my sense of humanity has gone down the drain
Behind every beautiful thing there’s been some kind of pain
She wrote me a letter and she wrote it so kind
She put down in writin’ what was in her mind
I just don’t see why I should even care
It’s not dark yet but it’s gettin’ there.
Well, I’ve been to London and I been to gay Paris
I’ve followed the river and I got to the sea
I’ve been down on the bottom of the world full of lies
I ain’t lookin’ for nothin’ in anyone’s eyes
Sometimes my burden is more than I can bear
It’s not dark yet but it’s gettin’ there.
I was born here and I’ll die here against my will
I know it looks like I’m movin’ but I’m standin’ still
Every nerve in my body is so naked and numb
I can’t even remember what it was I came here to get away from
Don’t even hear the murmur of a prayer
It’s not dark yet but it’s gettin’ there.

In questo intensissimo testo, grazie all’incomparabile studio di Alessandro Carrera (in Bob Dylan. Lyrics 1962-2001, Feltrinelli) scopriamo i riferimenti a John Keats, Hank Williams, Robbie Robertson, un proverbio storpiato, il libro della Genesi e al Talmud.

Propongo una mia versione in italiano, basandomi su quella di Carrera  (di cui invito anche alla lettura di un recente messaggio: http://www.doppiozero.com/materiali/il-nobel-bob-dylan) e a quella di De Gregori (che purtroppo predilige la ricerca di una analoga musicalità ma all’italiana, preservando lo schema delle rime, ma perdendo così la potenza di alcune immagini:

Le ombre scendono, sono qui da tutto il giorno

fa troppo caldo per dormire, il tempo corre via

sento la mia anima trasformarsi in acciaio

ho ancora cicatrici che il sole non mi ha guarito

non c’è posto abbastanza per stare da nessuna parte

non è ancora buio ma presto lo sarà.

Il mio senso di umanità se ne è andato in malora

dentro ogni cosa bella c’era un po’ di dolore

lei mi scrisse una lettera e la scrisse così bene

mi scrisse esattamente quello che pensava

e non vedo perché ciò mi debba interessare

non è buio ancora ma presto lo sarà.

Sono stato a Londra e nella ridente Parigi

ho seguito il fiume e sono arrivato al mare

ho toccato il fondo in un mondo pieno di bugie

non cerco niente negli occhi di nessuno

a volte mi ritrovo con un peso troppo grande da sopportare

non è ancora buio ma presto lo sarà.

Sono nato qui e qui senza volerlo morirò

sembra che mi stia muovendo invece sono fermo

ogni nervo del mio corpo è insensibile e vuoto

non ricordo nemmeno da cosa scappavo quando ho messo piede qui

non sento nemmeno il mormorio di una preghiera

non è ancora buio ma presto lo sarà.

 

Il testo è costruito secondo lo schema della ballata che non prevede il ritornello tra una strofa e l’altra ma una ripetizione nella chiusura degli ultimi due versi.

La musica non c’è, in italiano si perde anche il ritmo pulsante e ogni rima e assonanza. Restano immagini forti, un testo introspettivo, potente e autentico di un uomo che allo specchio vede il proprio scheletro. Credo che sia dignitosissima poesia, più che confrontabile con molta poesia contemporanea.

Se quello che cercate nella poesia è il tipo di ricerca svolta da Paul Celan, certo non ci troviamo sul medesimo campo da gioco. Ma non esistono secondo me campi da gioco migliori di altri. Esistono solo grandi artisti. Mi pare di non dire nulla di nuovo, eppure so che questa semplice affermazione non è davvero condivisa.

Non è questo lo spazio adatto, ma si potrebbero citare moltissimi altri testi pregevoli, che non hanno nulla a che vedere con la diffusa banalità di un testo per canzone, testi viscerali, colti e ritmicamente interessanti, testi contro ogni dogmatismo, contro ogni via facilmente percorribile, testi che cercano un’impossibile saggezza, che rincorrono una sfuggente verità. Penso a Slow train, a I and I, Everything is broken e molti altri. Altro elemento importante è la persistente ironia, una profonda ironia metaletteraria, capace di carnevalizzazione e di continua parodia.

Queste parole, certo non esaustive, sono la mia personale “apologia” del attuale “caso Dylan”; non penso affatto che ogni canzone – sua o di altri – sia un testo poetico, anzi ciò è cosa rara; ma, come nel caso di Prévert (paroliere o poeta?), che è stato cantato ma può continuare a leggersi su pagina godendone, così moltissimo Bob Dylan si può leggere senza musica, meglio con il testo originale sottomano (questo valga per entrambi).

Quindi meritato anche il Premio Nobel a Bob Dylan, celebre cantautore, che pregevolissimo autore di testi per canzone, ha fatto grande letteratura.

Penso che sia un mondo migliore quello in cui possiamo attingere la bellezza in ogni grande manifestazione artistica.

Poi mi piacerebbe trovarne, magari tra gli illustri poeti contemporanei, anche italiani, di artisti che perseguono il cammino di Celan.

Allo stesso modo, non vedo altri cantautori altrettanto importanti.

Riguardo dunque al premiare per la prima volta un cantautore, rimarcherei quest’opera sconvolgente, come è stato per Fo, approfondirei come si fa spesso con altri premi Nobel, senza critiche pregiudiziali mirate a proteggere spocchiosamente e inutilmente un mondo letterario più nobile.

Riporto per concludere le parole del linguista Tullio De Mauro: «È giusto allargare i confini del Nobel dalla Letteratura accademica, patinata, nobile a quella non meno nobile ma di grande circolazione e popolarità in tutti i sensi della parola», ha detto, «non vedo nessun problema da nessun punto di vista e penso che Fo sarebbe stato contento di questo Nobel a Dylan come del suo del quale siamo stati felici in tanti».

Dunque, perché non considerare letteratura un testo (anche se deve essere cantato) che ha valore letterario? Anche la librettistica è una forma di letteratura, e tutti riconoscono quanto pregevoli siano i testi di Da Ponte, Sterbini, Piave, Boito, Sanguineti, sia da un punto di vista poetico sia drammaturgico. (Oddio con Sanguineti arrivano gli esperti di musica colta… Ma fu anche colui che diede i propri testi per lo spettacolo “Rap”, e amò, a detta sua, il punk. A tal proposito, non è un buon poeta Federico Fiumani?)

Limitiamoci dunque a Da Ponte, sapendo che le sue arie erano canticchiate da tutti a Vienna.

Un’ultima critica mossa a questo premio ha detto in sostanza che un buon testo di canzone è una minaccia per i giovani perché sedotti dalla musica non apprezzeranno il testo della poesia vera, quella della pagina stampata.

È triste dover commentare tesi del genere.

Non abbiate paura, l’amore non farà danni (no, non è un verso di Dylan che può anche non piacere, certo: a me per esempio non piacciono le castagne).

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