Il parere di Davide Sardo su Stadio Succcessivo

fronte definitivo

Il parere di Davide Sardo su Stadio Succcessivo

In accordo con il musicista e produttore cagliaritano Davide Sardo pubblichiamo questo messaggio privato.

Stadio successivo è un disco da molti ascolti e mi sono preso  il tempo per entrarci dentro. L’ho ascoltato con piacere ripetutamente. È un gran bel disco, complimenti, molto intelligente e intenso. Molto maturo, per usare un termine abusato. Si sente chiaramente quanto controllo hai su quello che vuoi dire e su come lo vuoi esprimere. Mi piace molto l’idea del libro-disco. Spesso è solo una trovata editoriale per posizionare un prodotto sul mercato, ma nel tuo caso il risultato è perfettamente organico e necessario. È la forma giusta per esprimere quello che avevi da dire. E in questo caso ha un interessante e gradito effetto collaterale: il libro guida dentro l’ascolto del disco, in qualche modo costringendo ad un ascolto immersivo, in cui lo si gusta “come una volta” -dalla prima traccia all’ultima. C’è qualcosa di molto interessante e significativo nella produzione. La scrittura degli arrangiamenti ha un’intenzione rock (la batteria che suona con energia, il basso che tira, la chitarra che definisce intenzioni prima di decorare), ma il suono degli arrangiamenti racconta una storia diversa. C’è un nitore, una definizione, che ha poco a che fare col suono rock. L’impressione è (un po’) quella degli ultimi dischi di Battisti, che nella musica hanno un energia molto presente ed urgente – a tratti addirittura feroce, ma espressa attraverso la chiave del controllo. Ci trovo un parallelo coi testi, che partono dall’esistenza di un sentimento, ma sono sviluppati come un’analisi di questo sentimento e non come una sua espressione diretta (dipende dalla scrittura, ma anche dal modo controllato in cui canti). Dal mio punto di vista mediterraneo vedo qualcosa di profondamente nordico in questo processo. Leggi questa frase come vuoi (in effetti ha echi sia positivi che negativi), ma ho davvero la sensazione che ci sia qualcosa nel posto dove è nato questo disco che ha partecipato a dargli forma. Sui testi hai ottenuto un risultato importante. Sono evidentemente personali, ma non hanno nulla di criptico o di rivolto all’interno; è molto facile viverli come propri, usarli come specchio per le proprie esperienze. Però – e torno al discorso sull’asciuttezza degli arrangiamenti – non sono un veicolo diretto dei sentimenti: non parlano al cervelletto o alla spina dorsale per evocare direttamente emozioni in chi ascolta. Li vedo piuttosto come una guida di meditazione, una sequenza di immagini che stimolano un processo interiore, suggeriscono di trovare un proprio percorso per arrivare a sensazioni vicine a quelle che sono dietro la scrittura, un percorso curvo che richiede la partecipazione attiva di chi ascolta (o legge). Se posso permettermi due appunti, ci sono due cose che non mi sono piaciute molto. Una è una mancanza, l’altra è un qualcosa di troppo. Mi manca un momento nel disco in cui l’intensa energia che c’è dietro la scrittura trovi uno sfogo esplicito. Credo che un momento così avrebbe completato l’equilibrio del disco e ne avrebbe reso più espliciti i significati profondi. “Stadio successivo” e “Di buono ha solo la ferocia” sarebbero state due buone occasioni per mostrare – anche solo per un momento -i denti. La cosa di troppo è il mastering. Sento un abuso di limiter. Credo che questo disco avrebbe meritato una dinamica più ampia che valorizzasse l’aria degli arrangiamenti e non sacrificasse il suono “di stanza” che si intuisce. Sento gli elementi che fanno questo sound e sento quanto sono belli, però sento anche quanto sono stati sacrificati con un mastering così spinto. Il ragionamento sullo sfogo non è una critica, più un commento basato sul mio gusto personale. Capisco bene perché il disco sia così, e ha perfettamente senso (si capisce molto bene quanto tutto sia intenzionale e coerente) ma secondo me maggiori contrasti avrebbero ancor meglio sottolineato i contenuti. Complimenti ancora.

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