Voglio consigliare un bellissimo, emozionante libro di poesia uscito da poco, Tersa morte di Mario Benedetti. Mario è un grandissimo poeta che ho la fortuna di conoscere e con cui ho collaborato qualche tempo fa. Mi chiese infatti di scrivere una canzone basandomi su un suo testo. Da quella collaborazione, con l’aiuto dell’amico arrangiatore Silvio Uboldi nacque la canzone “Accorgetevi”, ora pubblicata nel mio ultimo ep dal titolo “Specie di spazi” disponibile su spotify e scaricabile in ogni store digitale. “Accorgetevi” è ispirata a una splendida poesia “Quante parole non ci sono più” molto intensa e secondo me rappresentativa della poetica di Mario. All’epoca (questo pezzo è stato scritto nel 2010 e fu pubblicato online in una prima versione a fine 2011) era uno splendido inedito, oggi è pubblicata insieme ad altri ottimi testi, da Mondadori, in Tersa morte. Imperdibile per chi ama la poesia.
Per chi è interessato ripropongo un vecchio post che scrissi in occasione della composizione di “Accorgetevi”:
“Accorgetevi” non è soltanto un’ulteriore prova del fruttuoso ed esaltante sodalizio con Silvio Uboldi, ma anche la testimonianza di una collaborazione che mi onora e mi riempie di gioia: il testo infatti non è mio ma di un grandissimo poeta, tra i più grandi poeti contemporanei: Mario Benedetti. Contattai Mario alcuni anni fa, avendolo trovato su myspace, e devo dire che già allora non nascosi un certo “timore reverenziale” nell’interagire con lui, dato che era ancora viva in me la grande emozione (non esagero) seguita alla lettura del suo Umana gloria, (Mondadori, 2004) che sono convinto essere un autentico capolavoro. E’ un libro che consiglio sempre caldamente a chi vuole avventurarsi nel magma della poesia contemporanea.
Da allora io e Mario ci siamo scambiati alcune mail e altre righe attraverso i social network, e soltanto di recente ho avuto la fortuna di incontrarlo di persona, dato che, a seguito di un mio apprezzamento su un suo testo inedito apparso su facebook, Mario mi ha invitato a fare di quella poesia una canzone.
Riporto la poesia in questione, nell’originale priva di titolo:
Quante parole non ci sono più.
Il preciso mangiare non è la minestra.
Il mare non è l’acqua dello stare qui.
Un aiuto chiederlo è troppo.
Morire e non c’è nulla vivere e non c’è nulla, mi toglie le parole.
E non ci sono salti, mani che insieme si tengano
alla corda, sorrisi, carezze, baci. Una landa impronunciabile
è il letto nella casa di riposo dei morenti,
agitata, negli spasmi del sentire di vivere ancora.
In provincia di Udine, Codroipo, i malati ai due polmoni,
i pantaloni larghi, i visi con la pelle attaccata alle ossa,
i nasi a punta non sono la storia da raccontare, né i ricordi.
Arido sapere, arido sentire.
E io dico, accorgetevi, non abbiate solo vent’anni,
e una vita così come sempre da farmi solo del male.
Questa poesia, per diventare canzone ha subito delle piccole modifiche, comunque non sostanziali, che anche Mario ha approvato. La prima quartina per esempio viene ripresa come se fosse un ritornello e nell’ultima parte alcune immagine sono state eliminate.
Ho voluto intitolare la canzone “Accorgetevi” proprio per sottolineare l’importanza dello splendido finale, che nella musica corrisponde ad un crescendo e ad un cambio radicale nell’interpretazione vocale. Nel verbo “accorgetevi” e nel successivo esortativo “non abbiate”, ho trovato un’energia “positiva” (ancorché nata dall’inaridire, dal soffrire, da negazioni e privazioni) annidata nel nichilismo precedentemente espresso, un’energia vitale e paradossale con la quale si sprona (secondo me) a prendere coscienza del fatto che possiamo anche esistere al di fuori della nostra stessa vita, in ciò che facciamo e pensiamo, nell’arte, negli affetti e, soprattutto, in ciò che non infligge dolore.